LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'INPS - Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del presidente pro-tempore, prof. ing. Giovanni Billia, elettivamente domiciliato in Roma, via della Frezza, presso l'Avvocatura centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso giusta delega in atti dagli avvocati Giuseppe Iovino e Leonardo Lironcurti; ricorrente contro l'istituto Facchetti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Prati Fiscali, 158, presso l'avv. Sergio Del Vecchio, che lo rappresenta e difende per procura speciale notaio Alberto Pezzoli di Treviglio del 10 luglio 1996, unitamente all'avv. Fernando Bontempelli di Bergamo; intimato avverso la sentenza del tribunale di Bergamo in data 15 dicembre 1994-14 gennaio 1995, n. 93 del 1995, notificata in data 4 febbraio 1995; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 novembre 1997 dal relatore cons. Camillo Filadoro; Udito l'avv. Del Vecchio per l'intimato Istituto Del Vecchio societa' a responsabilita' limitata; Udito il p.m., in persona del sostituto procuratore generale dott. Mario Delli Priscoli, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso, per quanto di ragione; Letto il ricorso per cassazione proposto dall'INPS - Istituto nazionale della previdenza sociale, avverso la sentenza emessa in data 15 dicembre 1994-14 gennaio 1995, con la quale il tribunale di Bergamo ha ritenuto che in caso di lavoro a tempo parziale cd. "verticale", caratterizzato dalla prestazione di lavoro solo per alcuni giorni alla settimana e con orario ridotto, rispetto a quello normale, previsto dal contratto collettivo, ancor prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 726 del 1984, convertito in legge n. 963 del 1984, dovesse trovare applicazione il minimale giornaliero retributivo e contributivo, non in cifra fissa (come ritenuto dal pretore), bensi' riproporzionato alla quantita' di ore lavorate effettivamente dai lavoratori dell'Istituto, docenti e non docenti, nel periodo in contestazione (1981-86); Considerato che l'Istituto con l'unico motivo di ricorso denuncia la violazione di legge di tutte le norme che hanno regolato la materia dei minimali contributivi, osservando che le regole della proporzionalita' tra retribuzione e contribuzione di cui all'art. 12 della legge n. 153 del 1969 non avevano alcuna rilevanza sulla questione controversa, che doveva essere invece decisa sulla scorta dell'interpretazione contenuta nella sentenza n. 1251 del 27 febbraio 1986 di questa Corte di cassazione e confermata dalla ordinanza della Corte costituzionale n. 835 del 1988; Rilevato che l'istituto Facchetti ha depositato procura speciale ed il suo difensore ha discusso oggi la causa; O s s e r v a Con ordinanza n. 835 del 1988 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 5 della legge 4 aprile 1952, n. 218, 20 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, nonche' degli artt. 14 d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, 1 della legge 30 dicembre 1980, n. 895, e 1 d.-l. 29 luglio 1981, n. 402 nella parte in cui gli stessi non consentivano di fissare in un importo inferiore a quello fissato per i rapporti di lavoro a tempo pieno il limite minimo di retribuzione giornaliera imponibile ai fini contributivi per l'ipotesi di contratto di lavoro a tempo parziale. Secondo la Corte costituzionale (ordinanza n. 835 del 1988) un aumento dei costi contributivi a carico dei datori di lavoro che impieghino lavoro a tempo parziale potrebbe essere spiegato, fino all'entrata in vigore della legge n. 863 del 1984 (che ha introdotto la frazionabilita' del minimale contributivo in caso di orario ridotto) con i principi di solidarieta' cui e' ispirato tutto il sistema previdenziale e con l'esigenza di assicurare comunque un minimo di prestazioni previdenziali al lavoratore a tempo parziale. Ulteriori considerazioni spingono questa Corte a porre nuovamente, d'ufficio, la questione di legittimita' delle medesime disposizioni di legge, gia' esaminate dalla Corte costituzionale, prospettando alcuni dubbi di legittimita' costituzionale sotto nuovi profili (v. anche ord. Corte costituzionale n. 1157 del 1988) e a porre anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 5, della legge n. 863 del 1984. Occorre innanzituto esaminare il contenuto delle disposizioni di legge che hanno regolato la materia prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 726 del 30 ottobre 1984, convertito in legge n. 863 del 19 dicembre 1984. Il limite minimo della retribuzione per il calcolo dei contributi dovuti per qualsiasi forma di assicurazione sociale fu fissato per la prima volta dall'art. 15 della legge 4 aprile 1952, n. 218 che al comma 3 - in deroga al principio generale, contenuto nel comma 1, che i contributi vanno calcolati "sull'intero ammontare della retribuzione" - stabili': "Qualora la retribuzione giornaliera risulti inferiore a L. 400, il contributo e' sempre commisurato su tale limite minimo". Importo poi aumentato dalla legge n. 55 del 1958. Successive disposizioni di legge (art. 21 della legge 16 aprile 1974, n. 114 e art. 14 della legge 3 giugno 1978, n. 160) aumentarono l'importo del minimale giornaliero, finche' la legge n. 843 del 21 dicembre 1978 lo riferi' ai trattamenti minimi dei contratti collettivi. Innovando rispetto alla disciplina del minimale, che in precedenza aveva subito soltanto adeguamenti quantitativi in cifra fissa, l'art. 20 della legge n. 843 del 1978, stabiliva che "limitatamente all'anno 1979 ... il limite minimo di retribuzione giornaliera ... e stabilito, per tutte le contribuzioni dovute in materia di previdenza ed assistenza sociale, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, in riferimento ai minimi, previsti per ciascuna qualifica dei contratti collettivi di categoria, raggruppati per settori omogenei ..." in relazione alle prestazioni di lavoro a tempo pieno. Con successivo d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito in legge 29 febbraio 1980, n. 33, venne stabilito (primo comma dell'art. 14) che "Le disposizioni di cui agli artt. 16, primo comma, 20 e 21, commi primo e secondo, 22, 25, 26 e 29, della legge 21 dicembre 1978, n. 843, restano confermate anche per l'anno 1980 e, conseguentemente, i riferimenti temporali previsti nelle disposizioni stesse devono intendersi posticipati di un anno". Infine, con d.-l. 29 luglio 1981, n. 402, convertito in legge 26 settembre 1981, n. 537, venivano determinati in cifra fissa i minimali di retribuzione a fini contributivi. Stabilisce l'art. 1 (Minimale di retribuzione ai fini contributivi) nei primi due commi ": - A decorrere dal periodo di paga in corso al 31 maggio 1981 i limiti minimi di retribuzione giornaliera, ivi compresa la misura giornaliera dei salari medi convenzionali, sono stabiliti per tutte le contribuzioni dovute in materia di previdenza ed assistenza sociale, nelle misure risultanti dalle tabelle A e B allegate al presente decreto". I limiti minimi di retribuzione di cui al comma precedente sono aumentati ogni anno, a partire dal 1982, nella stessa misura percentuale delle variazioni delle pensioni che si verificano in applicazione dell'art. 19 della legge 30 aprile 1969, n. 153, con arrotondamento alle 10 lire per eccesso, e sono soggetti a revisione triennale da effettuarsi con dereto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale in riferimento ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria raggruppati per settori omogenei. La prima revisione triennale ha effetto dal 1 gennaio 1984". Con l'art. 7 del decreto-legge n. 463 del 12 settembre 1983, modificato dalla legge di conversione 11 novembre 1983, n. 638, venivano fissati i criteri per l'accreditamento dei contributi settimanali. Secondo il primo comma: "Il numero dei contributi settimanali da accreditare ai lavoratori dipendenti nel corso dell'anno solare ai fini delle prestazioni pensionistiche a carico dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, per ogni anno solare successivo al 1983 e' pari a quello delle settimane dell'anno stesso retribuite o riconosciute in base alle norme che disciplinano l'accreditamento figurativo, sempre che risulti erogata, dovuta o accreditata figurativamente per ognuna di tali settimane, una retribuzione non inferiore al 30 per cento dell'importo del trattamento minimo mensile di pensione a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti in vigore al 1 gennaio dell' anno considerato. A decorrere dal periodo paga in corso alla data del 10 gennaio 1984, il limite minimo di retribuzione giornaliera, ivi compresa la misura minima giornaliera dei salari medi convenzionali, per tutte le contribuzioni dovute in materia di previdenza e assistenza sociale non puo' essere inferiore al 7,50 per cento dell'importo del trattamento minimo mensile di pensione a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti in vigore al 10 gennaio di ciascun anno" (importi poi modificati dalla legge n. 389 del 1989 in 40% e 9,50% a decorrere dal 1 gennaio 1989). Il secondo comma dello stesso articolo prevede: "In caso contrario viene accreditato un numero di contributi settimanali pari al quoziente arrotondato per eccesso che si ottiene dividendo la retribuzione complessivamente corrisposta, dovuta o accreditata figurativamente nell'anno solare, per la retribuzione di cui al comma precedente. I contributi cosi' determinati, ferma restando l'anzianita' assicurativa, sono riferiti ad un periodo comprendente tante settimane retribuite, e che hanno dato luogo all'accreditamento figurativo, per quanti sono i contributi medesimi risalendo a ritroso nel tempo, a decorrere dall'ultima settimana lavorativa o accreditata figurativamente compresa nell'anno". La legge n. 863 del 1984 con l'art. 5, comma 5, eliminava, infine, il minimale giornaliero, introducendo il limite di un sesto del minimale giornaliero di cui all'art. 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, come retribuzione minima oraria da assumere a base di calcolo dei contributi previdenziali per i lavoratori a tempo parziale. Tale parametro di riferimento - che pure interessa ratione temporis per il caso in esame - rimaneva in vigore fino alla modifica introdotta con l'art. 1 della legge n. 389 del 7 dicembre 1989, secondo la quale: "La retribuzione minima oraria da assumere quale base per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale, il minimale giornaliero di cui all'art. 7 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e dividendo l'importo cosi' ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per i lavoratori a tempo pieno". Le disposizioni di legge ora richiamate, anteriori alla legge n. 863 del 1984 - in quanto non consentivano di ragguagliare a prestazioni lavorative a tempo parziale il "limite minimo di retribuzione giornaliera" stabilito (non gia', come per il passato, in una somma discrezionalmente ed immotivatamente fissata dal legislatore), ma in riferimento ai minimi retributivi previsti dai contratti collettivi di lavoro, per prestazioni di lavoro a tempo pieno, o alle tabelle indicate dalla legge - si ponevano - ad avviso del Collegio - in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione prevedendo contributi eguali per prestazioni lavorative quantitativamente diverse tra di loro. Esulano invece dalla prospettata questione di costituzionalita' (della quale, peraltro, non potrebbero formare oggetto, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, trattandosi di atti non aventi "forza di legge") i decreti ministeriali con i quali il Ministro del lavoro e della previdenza sociale ha dato puntuale applicazione alla delega conferitagli con la disposizione di legge ora esaminata (d.m. 7 gennaio 1980). Le esigenze dell'Inps di facilitare l'accertamento della retribuzione imponibile, ovvero quella di equilibrare le entrate contributive e le spese per le prestazioni dello stesso Istituto - pure enunciate dall'Istituto - non possono costituire una giustificazione valida ed idonea a scalfire il fondamentale principio di cui al richiamato art. 3 della Costituzione. La diversita' di trattamento e' ancora piu' evidente se si consideri non solo la posizione dei datori di lavoro (Corte costituzionale ordinanza n. 835 del 1988), ma anche quella dei lavoratori (profilo questo del tutto nuovo e non esaminato dalla Corte costituzionale). Sembra evidente infatti - secondo il sistema anteriore all'entrata in vigore della legge n. 863 del 1984 - che nei casi in cui il lavoratore a tempo parziale avesse prestato attivita' lavorativa per un tempo ridotto a favore di piu' datori di lavoro, egli avrebbe ottenuto una contribuzione maggiore rispetto ad un lavoratore che avesse esplicato la stessa attivita', per un identico numero di ore complessivo, in favore di un solo datore di lavoro. E cio' proprio in contrasto con il principio di solidarieta' enunciato dalla stessa Corte costituzionale nella piu' volte richiamata ordinanza. Tale ipotesi e' stata tenuta ben presente dal legislatore, tanto per fare un esempio, nella regolamentazione degli aspetti contributivi di un particolare settore, quello dei lavoratori domestici e addetti ai servizi familiari, nel quale tradizionalmente e' particolarmente diffuso un orario ridotto. Per questa particolare categoria di lavoratori e' riconosciuto fin dal 1971 con apposita norma (decreto del Presidente della Repubblica n. 1403 del 3 dicembre 1971) un adeguamento dei minimali sulla base delle ore effettivamente lavorate: "Gli importi delle retribuzioni convenzionali orarie alle quali si commisurano i contributi sono pari a ...". Proprio la diversita' di trattamento riservato a questi lavoratori a tempo parziale (addetti a servizi domestici e familiari) potrebbe costituire un ulteriore argomento in favore della questione di legittimita' costituzionale, costituendo la riprova "per tabulas" della irrazionalita' e disparita' di trattamento, ai fini contributivi, di situazioni lavorative uguali (in contrasto con il principio di uguaglianza stabilito dall'art. 3 della Costituzione). Cfr. le esclusioni contenute nella legge n. 743 del 1978, art. 20, comma secondo, legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 14, ultimo comma, legge 30 dicembre 1980, n. 895, art. 1, secondo comma, legge n. 537 del 26 settembre 1981, n. 537, art. 1, penultimo comma, legge n. 638 del 1983 art. 7, comma 5. Non si comprende, infatti, per quale ragione situazioni analoghe di lavoro a tempo parziale siano state trattate cosi' diversamente dal legislatore, con la conseguenza di scoraggiare - in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, secondo comma, e 4, primo comma, della Costituzione - il ricorso a tali forme di lavoro, attraverso l'imposizione ai datori di lavoro (ed in misura inferiore ai lavoratori) di costi sproporzionati al valore economico dell'attivita' lavorativa. (Per qualche riferimento, cfr. Corte costituzionale n. 221 dell'8 giugno 1994). L'applicazione di un minimale giornaliero per ogni rapporto di lavoro a tempo parziale posto in essere da un lavoratore si prestava, per altro verso, anche a possibili frodi, negli ultimi anni di vita lavorativa, in prossimita' dell'eta' di pensionamento, consentendo la lievitazione delle retribuzioni imponibili e delle conseguenti contribuzioni previdenziali. Una ulteriore considerazione meritano altri aspetti riguardanti la possibilita' di una riduzione della retribuzione del lavoratore a tempo parziale, per effetto dell'applicazione del minimale contributivo rapportato alla giornata anziche' al numero di ore effettivamente lavorato (prima e dopo il 1984). Poiche' una quota percentuale della retribuzione viene trattenuta dal datore di lavoro per la parte di contributi a carico del lavoratore, e' evidente che, soprattutto in caso di prestazioni di lavoro molto ridotte, vi era la concreta possibilita' di una incidenza rilevante delle trattenute contributive sulle retribuzioni corrisposte. Con la possibilita' - piu' evidente per le prestazioni di lavoro molto ridotte - di un contrasto con i principi di cui all'art. 36 della Costituzione, il cui primo comma e' stato ritenuto applicabile al lavoro a tempo parziale, nella parte in cui stabilisce la proporzionalita' alla "quantita'" oltre che alla qualita' del lavoro svolto (Cass. 3882 del 4 dicembre 1968, 23 ottobre 1969, n. 3463, 19 novembre 1969, n. 3756, 5 gennaio 1970, n. 19, 29 gennaio 1970, n. 189, 14 gennaio 1972, n. 114, 20 marzo 1972, n. 859, 6 aprile 1973, n. 949, 16 maggio 1974, n. 1423, 8 febbraio 1975, n. 495, 4 ottobre 1975, n. 3150. Piu' di recente: Cass. 18 aprile 1994, n. 3651, 25 novembre 1994, n. 10029). I dubbi di legittimita' costituzionale non sono tuttavia limitati, come gia' accennato, al solo sistema di disposizioni precedenti all'entrata in vigore della legge del 1984, ma si estendono anche - seppur in misura piu' ridotta - per gli anni 1984-1986, con riferimento al caso di specie, - alla normativa introdotta con l'art. 5, comma 5, nella sua prima formulazione prima della modifica introdotta ad opera della legge n. 389 del 1989, art. 1. Infatti, come parte della dottrina ha avuto modo di sottolineare, prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, il limite giornaliero di contribuzione, con il suo importo fisso ed elevato, era tale da scoraggiare la diffusione di contratti di lavoro a tempo parziale per poche ore giornaliere, effettuato per tutti i giorni della settimana (c.d. part-time orizzontale) favorendo invece forme diverse di distribuzione dell'orario - anche se in contrasto con le esigenze del datore di lavoro e del lavoratore - per esempio per alcuni giorni della settimana, ma con un elevato numero di ore giornaliere (c.d. part-time verticale) o altre forme miste. In qualche caso, un sistema contributivo rigido di questo tipo incoraggiava prassi distorsive se non anche il diffondersi di contratti di lavoro solo formalmente riferiti ad alcuni giorni della settimana, con picchi elevati di orario, in contrasto con la effettiva prestazione lavorativa, riguardante poche ore per tutti i giorni della settimana. A seguito dell'introduzione della nuova normativa del 1984, con una radicale inversione di tendenza, venivano ad essere penalizzate, con costi contributivi maggiori, anche le prestazioni lavorative effettuate per molte ore giornaliere, ma non per tutte le giornate lavorative (lavoro verticale), che erano assoggettate a contributi proporzionalmente maggiori rispetto a quelli previsti in linea generale per il contratto di lavoro a tempo pieno, attraverso l'introduzione di un divisore penalizzante per questa figura di lavoro (un sesto del minimale giornaliero previsto dall'art. 7 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638). Infatti, nel caso in cui il lavoratore - ad esempio - avesse prestato attivita' lavorativa per piu' di sei ore giornaliere, in ipotesi di retribuzione prossima ai minimi tabellari, i contributi avrebbero superato addirittura l'importo di quelli spettanti all'Istituto previdenziale nel caso di prestazione a tempo pieno (e quindi per un orario di lavoro maggiore) non potendosi applicare il "normale" minimale giornaliero. Un aumento proporzionale delle retribuzioni orarie minime era previsto comunque per tutti i tipi di distribuzione dell'orario di lavoro, senza distinzione di sorta. Anche nel caso in cui il lavoratore prestasse piu' attivita' lavorative a tempo parziale, doveva essere applicato per ogni rapporto di lavoro il nuovo minimale contributivo orario previsto dalla disposizione in esame. Nel caso di cumulo di piu' rapporti di lavoro a tempo parziale, l'effetto distorsivo di tale nuovo meccanismo poteva in qualche caso apparire ancora piu' evidente, in contrasto con i principi di eguaglianza gia' richiamati. In una prospettiva di questo genere, anche il principio solidaristico proprio del sistema previdenziale, prospettato dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 835 del 1988, non appare sufficiente a spiegare l'evidente irrazionalita' del sistema e l'ingiustificata disparita' di trattamento di due situazioni lavorative del tutto analoghe. Donde la necessita' di riproporre alla Corte costituzionale i dubbi di legittimita' costituzionale dell'intera disciplina dei contributi previdenziali cosi' come regolata prima e dopo l'entrata in vigore della legge del 1984. Va sottolineato, tra l'altro, che una parziale modifica del sistema, tendeva con l'art. l, comma 2, del decreto-legge n. 548 del 30 novembre 1988, a trasferire sul solo datore di lavoro, e non anche sul lavoratore (come per il passato) il maggior costo dei contributi previdenziali conseguenti allo svolgimento dell'attivita' lavorativa con un orario ridotto rispetto a quello normale previsto dal contratto collettivo. Tale modifica, tuttavia, e' stata stralciata dal testo definitivo della legge di conversione n. 389 del 1989, piu' volte richiamata, che non ha innovato in ordine al carico dei contributi previdenziali. Che poi la nuova normativa del 1984 si applichi integralmente anche al caso di specie, ovviamente per la sola parte di contributi relativi agli anni 1984-1986 (secondo la richiesta formulata dall'Istituto in sede di procedimento monitorio) appare del tutto evidente, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale: "Ne1le materie in cui predominano l'autonomia della volonta' privata e l'interesse dei singoli, il fatto compiuto, costitutivo del rapporto, deve essere governato una volta per tutte dalla legge imperante nel tempo in cui esso avvenne; pertanto, in tema di rapporto di lavoro a tempo parziale, la disciplina formale introdotta dall'art. 5 n. 2 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito nella legge n. 863 del 1984, non rende illecita la stipulazione del medesimo rapporto, secondo la forma richiesta dalla precedente disciplina, restando altresi' escluso che il permanere degli effetti della costituzione di detto rapporto sia condizionato all'adempimento delle nuove formalita'" (Cass. 17 novembre 1994, n. 9724, 24 marzo 1992, n. 3646, 13 febbraio 1992, n. 1781). Pertanto, non puo' assumere rilevanza la circostanza che nel caso di specie i rapporti di lavoro del personale docente e non docente, impiegati a tempo parziale negli anni 1981-1986, e retribuiti con compensi fissi mensili (pag. 8 della sentenza impugnata), siano iniziati - prima dell'entrata in vigore della legge del 1984 - senza le formalita' prescritte da tale legge. In ogni caso, infatti, anche in mancanza di forma scritta, per i rapporti di lavoro a tempo parziale iniziati prima dell'entrata in vigore della legge n. 863 del 1984 e protrattisi dopo tale data, deve trovare applicazione, secondo i principi generali sopra richiamati, la nuova norma dettata in materia contributiva dall'art. 5, comma 5, della legge. Sotto un profilo piu' generale, va ricordato che, con orientamento da ritenersi consolidato, questa Corte ha affermato che, prima della legge n. 863 del 1984 doveva farsi esclusivo riferimento al minimale giornaliero stabilito per il lavoro a tempo pieno (Cass. 26 febbraio 1993, n. 2407, cfr. anche Cass. 5910 del 1987, 1251 del 1986, 1773 del 1982) ammettendo, solo nell'ipotesi di retribuzione corrisposta in relazione alle ore o giornate effettivamente lavorate, ai fini del calcolo dei contributi, la media di tutti gli emolumenti corrisposti nelle giornate lavorate (Cass. 12 giugno 1995, n. 6606, v. anche 638 del 22 gennaio 1997). Non appare possibile, pertanto, risolvere i dubbi di legittimita' costituzionale delle disposizioni di legge piu' volte richiamate, con una interpretazione difforme da quella espressa nella consolidata giurisprudenza di questa Corte. Con riferimento al caso di specie, l'eventuale mancanza di forma scritta del contratto di lavoro a tempo parziale (verticale, prestato solo per poche ore di alcuni giorni della settimana e retribuito con un fisso mensile) potrebbe, eventualmente, rilevare solo ai fini dell'inapplicabilita' del minimale differenziato previsto dall'art. 5, comma 16, della legge n. 863 del 1984 che regola l'ipotesi di lavoratori occupati nei settori indicati nel successivo comma 17, (tra i quali alla lettera a) figura l'istruzione ed educazione scolare e prescolare non statale) in "attivita' ad orario ridotto, non superiore alle quattro ore giornaliere, i quali non abbiano stipulato il contratto di lavoro a norma dei commi precedenti". Ma tale questione non ha formato oggetto di discussione nei precedenti gradi di giudizio. Considerato che la questione di legittimita', costituzionale delle norme sopra richiamate e' rilevante, tenuto conto dell'oggetto sopra evidenziato del presente giudizio, che non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di cui si tratta; Considerato, altresi', che la questione di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio non risulta manifestamente infondata, per le considerazioni appena esposte, con riferimento all'art. 3, commi primo e secondo, 4, comma primo, e 36, comma primo, della Costituzione e che gli atti debbano essere trasmessi alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del presente giudizio e che, a cura della Cancelleria, questa ordinanza deve essere notificata alle parti in causa, al procuratore generale presso la Corte di cassazione, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;