LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'INPS
 -  Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale,  in  persona  del
 presidente  pro-tempore,  prof.  ing.  Giovanni Billia, elettivamente
 domiciliato in Roma, via della Frezza, presso  l'Avvocatura  centrale
 dell'Istituto,  rappresentato  e  difeso  giusta delega in atti dagli
 avvocati Giuseppe Iovino e  Leonardo  Lironcurti;  ricorrente  contro
 l'istituto  Facchetti  S.r.l.,  in  persona del legale rappresentante
 pro-tempore,  elettivamente  domiciliato  in  Roma,  via  dei   Prati
 Fiscali,  158, presso l'avv. Sergio Del Vecchio, che lo rappresenta e
 difende per procura speciale notaio Alberto Pezzoli di Treviglio  del
 10 luglio 1996, unitamente all'avv.  Fernando Bontempelli di Bergamo;
 intimato  avverso  la  sentenza  del  tribunale di Bergamo in data 15
 dicembre 1994-14 gennaio 1995, n.  93 del 1995, notificata in data  4
 febbraio 1995;
   Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24
 novembre 1997 dal relatore cons. Camillo Filadoro;
   Udito  l'avv.  Del  Vecchio  per  l'intimato  Istituto  Del Vecchio
 societa' a responsabilita' limitata;
   Udito il p.m., in persona del sostituto procuratore generale  dott.
 Mario  Delli  Priscoli,  il  quale ha concluso per l'accoglimento del
 ricorso, per quanto di ragione;
   Letto il ricorso  per  cassazione  proposto  dall'INPS  -  Istituto
 nazionale  della  previdenza  sociale,  avverso la sentenza emessa in
 data 15 dicembre 1994-14 gennaio 1995, con la quale il  tribunale  di
 Bergamo  ha  ritenuto  che  in  caso  di  lavoro a tempo parziale cd.
 "verticale",  caratterizzato  dalla  prestazione  di  lavoro solo per
 alcuni giorni alla settimana e con orario ridotto, rispetto a  quello
 normale,  previsto dal contratto collettivo, ancor prima dell'entrata
 in vigore del decreto-legge n. 726 del 1984, convertito in  legge  n.
 963  del  1984,  dovesse trovare applicazione il minimale giornaliero
 retributivo e contributivo, non in cifra  fissa  (come  ritenuto  dal
 pretore),  bensi'  riproporzionato  alla  quantita'  di  ore lavorate
 effettivamente dai lavoratori dell'Istituto, docenti e  non  docenti,
 nel periodo in contestazione (1981-86);
   Considerato  che  l'Istituto con l'unico motivo di ricorso denuncia
 la violazione di legge di  tutte  le  norme  che  hanno  regolato  la
 materia  dei  minimali  contributivi,  osservando che le regole della
 proporzionalita' tra retribuzione e contribuzione di cui all'art.  12
 della  legge  n.    153  del  1969 non avevano alcuna rilevanza sulla
 questione controversa, che doveva essere invece decisa  sulla  scorta
 dell'interpretazione contenuta nella sentenza n. 1251 del 27 febbraio
 1986 di questa Corte di cassazione e confermata dalla ordinanza della
 Corte costituzionale n. 835 del 1988;
   Rilevato che l'istituto Facchetti ha depositato procura speciale ed
 il suo difensore ha discusso oggi la causa;
                             O s s e r v a
   Con ordinanza n. 835 del 1988 la Corte costituzionale ha dichiarato
 non fondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato
 disposto  degli  artt.  5 della legge 4 aprile 1952, n. 218, 20 della
 legge 21 dicembre 1978, n. 843,  nonche'  degli  artt.  14  d.-l.  30
 dicembre  1979,  n.  663, 1 della legge 30 dicembre 1980, n. 895, e 1
 d.-l. 29 luglio 1981, n. 402  nella  parte  in  cui  gli  stessi  non
 consentivano  di fissare in un importo inferiore a quello fissato per
 i rapporti di lavoro a tempo pieno il limite minimo  di  retribuzione
 giornaliera   imponibile   ai  fini  contributivi  per  l'ipotesi  di
 contratto di lavoro a tempo parziale.
   Secondo la Corte costituzionale (ordinanza  n.  835  del  1988)  un
 aumento  dei  costi  contributivi  a  carico dei datori di lavoro che
 impieghino lavoro a tempo parziale  potrebbe  essere  spiegato,  fino
 all'entrata  in vigore della legge n. 863 del 1984 (che ha introdotto
 la frazionabilita'  del  minimale  contributivo  in  caso  di  orario
 ridotto)  con  i  principi  di  solidarieta' cui e' ispirato tutto il
 sistema previdenziale e con  l'esigenza  di  assicurare  comunque  un
 minimo di prestazioni previdenziali al lavoratore a tempo parziale.
   Ulteriori  considerazioni spingono questa Corte a porre nuovamente,
 d'ufficio, la questione di legittimita' delle  medesime  disposizioni
 di  legge,  gia'  esaminate  dalla Corte costituzionale, prospettando
 alcuni dubbi di legittimita' costituzionale sotto nuovi  profili  (v.
 anche  ord. Corte costituzionale n. 1157 del 1988) e a porre anche la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 5,  della
 legge n. 863 del 1984.
   Occorre  innanzituto  esaminare  il contenuto delle disposizioni di
 legge che hanno regolato la materia prima dell'entrata in vigore  del
 decreto-legge  n. 726 del 30 ottobre 1984, convertito in legge n. 863
 del 19 dicembre 1984.
   Il limite minimo della retribuzione per il calcolo  dei  contributi
 dovuti per qualsiasi forma di assicurazione sociale fu fissato per la
 prima  volta  dall'art.  15  della legge 4 aprile 1952, n. 218 che al
 comma 3 - in deroga al principio generale, contenuto nel comma 1, che
 i   contributi   vanno   calcolati   "sull'intero   ammontare   della
 retribuzione"  -  stabili':  "Qualora  la  retribuzione   giornaliera
 risulti  inferiore  a  L. 400, il contributo e' sempre commisurato su
 tale limite minimo". Importo poi aumentato  dalla  legge  n.  55  del
 1958. Successive disposizioni di legge (art. 21 della legge 16 aprile
 1974, n. 114 e art. 14 della legge 3 giugno 1978, n. 160) aumentarono
 l'importo  del  minimale  giornaliero, finche' la legge n. 843 del 21
 dicembre  1978  lo  riferi'  ai  trattamenti  minimi  dei   contratti
 collettivi.
   Innovando  rispetto alla disciplina del minimale, che in precedenza
 aveva subito soltanto adeguamenti quantitativi in cifra fissa, l'art.
 20 della legge n. 843 del 1978, stabiliva che "limitatamente all'anno
 1979  ...  il  limite  minimo  di  retribuzione  giornaliera  ...   e
 stabilito, per tutte le contribuzioni dovute in materia di previdenza
 ed  assistenza  sociale,  con decreto del Ministro del lavoro e della
 previdenza sociale, in riferimento ai minimi, previsti  per  ciascuna
 qualifica  dei  contratti  collettivi  di  categoria, raggruppati per
 settori omogenei ..."   in relazione alle  prestazioni  di  lavoro  a
 tempo pieno.
   Con  successivo d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito in legge
 29 febbraio 1980, n. 33, venne stabilito (primo comma  dell'art.  14)
 che  "Le  disposizioni  di  cui  agli artt. 16, primo comma, 20 e 21,
 commi primo e secondo, 22, 25, 26 e 29, della legge 21 dicembre 1978,
 n. 843, restano confermate anche per l'anno 1980 e, conseguentemente,
 i riferimenti temporali previsti  nelle  disposizioni  stesse  devono
 intendersi posticipati di un anno".
   Infine,  con  d.-l.  29 luglio 1981, n. 402, convertito in legge 26
 settembre 1981,  n.  537,  venivano  determinati  in  cifra  fissa  i
 minimali di retribuzione a fini contributivi.
   Stabilisce l'art. 1 (Minimale di retribuzione ai fini contributivi)
 nei  primi due commi ": - A decorrere dal periodo di paga in corso al
 31 maggio 1981 i  limiti  minimi  di  retribuzione  giornaliera,  ivi
 compresa  la  misura  giornaliera dei salari medi convenzionali, sono
 stabiliti per tutte le contribuzioni dovute in materia di  previdenza
 ed  assistenza  sociale,  nelle misure risultanti dalle tabelle A e B
 allegate al presente decreto".
   I limiti minimi di retribuzione di cui  al  comma  precedente  sono
 aumentati  ogni  anno,  a  partire  dal  1982,  nella  stessa  misura
 percentuale delle variazioni delle  pensioni  che  si  verificano  in
 applicazione  dell'art.  19  della  legge 30 aprile 1969, n. 153, con
 arrotondamento alle 10 lire per eccesso, e sono soggetti a  revisione
 triennale  da  effettuarsi con dereto del Ministro del lavoro e della
 previdenza sociale in riferimento ai minimi  previsti  dai  contratti
 collettivi  nazionali  di categoria raggruppati per settori omogenei.
 La prima revisione triennale ha effetto dal 1 gennaio 1984".
   Con l'art. 7 del  decreto-legge  n.  463  del  12  settembre  1983,
 modificato  dalla  legge  di  conversione  11  novembre 1983, n. 638,
 venivano  fissati  i  criteri  per  l'accreditamento  dei  contributi
 settimanali.
   Secondo  il  primo  comma: "Il numero dei contributi settimanali da
 accreditare ai lavoratori dipendenti nel corso  dell'anno  solare  ai
 fini   delle   prestazioni   pensionistiche  a  carico  dell'Istituto
 nazionale della previdenza sociale, per ogni anno  solare  successivo
 al  1983 e' pari a quello delle settimane dell'anno stesso retribuite
 o riconosciute in base alle norme che  disciplinano  l'accreditamento
 figurativo,   sempre   che  risulti  erogata,  dovuta  o  accreditata
 figurativamente per ognuna di tali settimane,  una  retribuzione  non
 inferiore al 30 per cento dell'importo del trattamento minimo mensile
 di  pensione  a  carico  del  fondo pensioni lavoratori dipendenti in
 vigore al 1 gennaio dell' anno considerato. A decorrere  dal  periodo
 paga  in  corso  alla  data  del 10 gennaio 1984, il limite minimo di
 retribuzione giornaliera, ivi compresa la misura  minima  giornaliera
 dei  salari  medi convenzionali, per tutte le contribuzioni dovute in
 materia di previdenza e assistenza sociale non puo' essere  inferiore
 al  7,50  per  cento  dell'importo  del trattamento minimo mensile di
 pensione a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti in  vigore
 al 10 gennaio di ciascun anno" (importi poi modificati dalla legge n.
 389 del 1989 in 40% e 9,50% a decorrere dal 1 gennaio 1989).
   Il  secondo comma dello stesso articolo prevede: "In caso contrario
 viene  accreditato  un  numero  di  contributi  settimanali  pari  al
 quoziente  arrotondato  per  eccesso  che  si  ottiene  dividendo  la
 retribuzione  complessivamente  corrisposta,  dovuta  o   accreditata
 figurativamente nell'anno solare, per la retribuzione di cui al comma
 precedente.      I   contributi  cosi'  determinati,  ferma  restando
 l'anzianita' assicurativa, sono riferiti ad un  periodo  comprendente
 tante settimane retribuite, e che hanno dato luogo all'accreditamento
 figurativo, per quanti sono i contributi medesimi risalendo a ritroso
 nel tempo, a decorrere dall'ultima settimana lavorativa o accreditata
 figurativamente compresa nell'anno".
   La  legge n. 863 del 1984 con l'art. 5, comma 5, eliminava, infine,
 il minimale giornaliero, introducendo  il  limite  di  un  sesto  del
 minimale giornaliero di cui all'art. 7 del decreto-legge 12 settembre
 1983,  n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre
 1983, n. 638, come retribuzione minima oraria da assumere a  base  di
 calcolo  dei  contributi  previdenziali  per  i  lavoratori  a  tempo
 parziale.
   Tale parametro di riferimento - che pure interessa ratione temporis
 per il caso  in  esame  -  rimaneva  in  vigore  fino  alla  modifica
 introdotta  con  l'art.  1  della  legge  n. 389 del 7 dicembre 1989,
 secondo la quale:  "La retribuzione minima oraria da  assumere  quale
 base  per  il  calcolo  dei  contributi  previdenziali  dovuti  per i
 lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando  alle  giornate
 di  lavoro  settimanale ad orario normale, il minimale giornaliero di
 cui all'art. 7 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463,  convertito,  con
 modificazioni,  dalla  legge  11  novembre  1983, n. 638, e dividendo
 l'importo cosi' ottenuto per il numero delle ore  di  orario  normale
 settimanale  previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria
 per i lavoratori a tempo pieno".
   Le disposizioni di legge ora richiamate, anteriori  alla  legge  n.
 863  del  1984  -  in  quanto  non  consentivano  di  ragguagliare  a
 prestazioni  lavorative  a  tempo  parziale  il  "limite  minimo   di
 retribuzione  giornaliera"  stabilito (non gia', come per il passato,
 in  una  somma  discrezionalmente  ed  immotivatamente  fissata   dal
 legislatore),  ma  in  riferimento ai minimi retributivi previsti dai
 contratti collettivi di lavoro, per prestazioni  di  lavoro  a  tempo
 pieno,  o alle tabelle indicate dalla legge - si ponevano - ad avviso
 del  Collegio  -  in contrasto con il principio di eguaglianza di cui
 all'art. 3, primo comma,  della  Costituzione  prevedendo  contributi
 eguali  per  prestazioni  lavorative quantitativamente diverse tra di
 loro.
   Esulano invece dalla  prospettata  questione  di  costituzionalita'
 (della  quale,  peraltro,  non  potrebbero  formare oggetto, ai sensi
 dell'art. 134 della Costituzione,  trattandosi  di  atti  non  aventi
 "forza  di legge") i decreti ministeriali con i quali il Ministro del
 lavoro e della previdenza sociale ha dato puntuale applicazione  alla
 delega  conferitagli con la disposizione di legge ora esaminata (d.m.
 7 gennaio 1980).
   Le  esigenze   dell'Inps   di   facilitare   l'accertamento   della
 retribuzione  imponibile,  ovvero  quella  di  equilibrare le entrate
 contributive e le spese per le prestazioni dello  stesso  Istituto  -
 pure   enunciate   dall'Istituto   -   non   possono  costituire  una
 giustificazione valida ed idonea a scalfire il fondamentale principio
 di cui al richiamato
  art. 3 della Costituzione.
   La  diversita'  di  trattamento  e'  ancora  piu'  evidente  se  si
 consideri   non  solo  la  posizione  dei  datori  di  lavoro  (Corte
 costituzionale ordinanza n.  835  del  1988),  ma  anche  quella  dei
 lavoratori  (profilo  questo  del  tutto  nuovo e non esaminato dalla
 Corte costituzionale).
   Sembra evidente infatti - secondo il sistema anteriore  all'entrata
 in  vigore  della  legge  n.  863  del  1984 - che nei casi in cui il
 lavoratore a tempo parziale avesse prestato attivita' lavorativa  per
 un  tempo  ridotto  a  favore  di piu' datori di lavoro, egli avrebbe
 ottenuto una contribuzione maggiore rispetto  ad  un  lavoratore  che
 avesse  esplicato  la stessa attivita', per un identico numero di ore
 complessivo, in favore di un solo datore di lavoro. E cio' proprio in
 contrasto con il principio di  solidarieta'  enunciato  dalla  stessa
 Corte costituzionale nella piu' volte richiamata ordinanza.
   Tale  ipotesi  e'  stata tenuta ben presente dal legislatore, tanto
 per  fare  un   esempio,   nella   regolamentazione   degli   aspetti
 contributivi   di  un  particolare  settore,  quello  dei  lavoratori
 domestici e addetti ai servizi familiari, nel quale  tradizionalmente
 e'  particolarmente diffuso un orario ridotto. Per questa particolare
 categoria di lavoratori e' riconosciuto fin  dal  1971  con  apposita
 norma (decreto del Presidente della Repubblica n. 1403 del 3 dicembre
 1971) un adeguamento dei minimali sulla base delle ore effettivamente
 lavorate:  "Gli  importi delle retribuzioni convenzionali orarie alle
 quali si commisurano i contributi sono pari a ...".
   Proprio la diversita' di trattamento riservato a questi  lavoratori
 a  tempo  parziale (addetti a servizi domestici e familiari) potrebbe
 costituire un  ulteriore  argomento  in  favore  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  costituendo  la  riprova "per tabulas"
 della  irrazionalita'  e   disparita'   di   trattamento,   ai   fini
 contributivi,  di  situazioni  lavorative uguali (in contrasto con il
 principio di uguaglianza stabilito dall'art. 3  della  Costituzione).
 Cfr.  le  esclusioni  contenute nella legge n. 743 del 1978, art. 20,
 comma secondo, legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 14, ultimo  comma,
 legge  30  dicembre 1980, n. 895, art. 1, secondo comma, legge n. 537
 del 26 settembre 1981, n. 537, art. 1, penultimo comma, legge n.  638
 del 1983 art. 7, comma 5.
   Non si comprende, infatti, per quale ragione situazioni analoghe di
 lavoro  a  tempo parziale siano state trattate cosi' diversamente dal
 legislatore, con la conseguenza di scoraggiare - in contrasto  con  i
 principi  costituzionali  di  cui  agli  artt. 3, secondo comma, e 4,
 primo comma, della Costituzione - il ricorso a tali forme di  lavoro,
 attraverso  l'imposizione ai datori di lavoro (ed in misura inferiore
 ai  lavoratori)  di  costi   sproporzionati   al   valore   economico
 dell'attivita'  lavorativa.  (Per  qualche  riferimento,  cfr.  Corte
 costituzionale n. 221 dell'8 giugno 1994).
   L'applicazione di un minimale  giornaliero  per  ogni  rapporto  di
 lavoro a tempo parziale posto in essere da un lavoratore si prestava,
 per  altro  verso, anche a possibili frodi, negli ultimi anni di vita
 lavorativa, in prossimita' dell'eta' di pensionamento, consentendo la
 lievitazione  delle  retribuzioni  imponibili  e  delle   conseguenti
 contribuzioni previdenziali.
   Una  ulteriore considerazione meritano altri aspetti riguardanti la
 possibilita' di una riduzione della  retribuzione  del  lavoratore  a
 tempo   parziale,   per   effetto   dell'applicazione   del  minimale
 contributivo rapportato alla  giornata  anziche'  al  numero  di  ore
 effettivamente lavorato (prima e dopo il 1984).
   Poiche'  una  quota percentuale della retribuzione viene trattenuta
 dal datore di  lavoro  per  la  parte  di  contributi  a  carico  del
 lavoratore,  e'  evidente  che, soprattutto in caso di prestazioni di
 lavoro  molto  ridotte,  vi  era  la  concreta  possibilita'  di  una
 incidenza  rilevante delle trattenute contributive sulle retribuzioni
 corrisposte.
   Con la possibilita' - piu' evidente per le  prestazioni  di  lavoro
 molto  ridotte  -  di  un contrasto con i principi di cui all'art. 36
 della Costituzione, il cui primo comma e' stato ritenuto  applicabile
 al  lavoro  a  tempo  parziale,  nella  parte  in  cui  stabilisce la
 proporzionalita' alla "quantita'" oltre che alla qualita' del  lavoro
 svolto (Cass.  3882 del 4 dicembre 1968, 23 ottobre 1969, n. 3463, 19
 novembre  1969,  n.  3756, 5 gennaio 1970, n. 19, 29 gennaio 1970, n.
 189, 14 gennaio 1972, n. 114, 20 marzo 1972, n. 859, 6  aprile  1973,
 n.  949,  16 maggio 1974, n. 1423, 8 febbraio 1975, n. 495, 4 ottobre
 1975, n. 3150.  Piu' di recente: Cass. 18 aprile 1994,  n.  3651,  25
 novembre 1994, n. 10029).
   I  dubbi di legittimita' costituzionale non sono tuttavia limitati,
 come gia' accennato,  al  solo  sistema  di  disposizioni  precedenti
 all'entrata  in  vigore della legge del 1984, ma si estendono anche -
 seppur  in  misura  piu'  ridotta  -  per  gli  anni  1984-1986,  con
 riferimento al caso di specie, - alla normativa introdotta con l'art.
 5,  comma  5,  nella  sua  prima  formulazione  prima  della modifica
 introdotta ad opera della legge n. 389 del 1989, art. 1.
   Infatti, come parte della dottrina ha avuto modo  di  sottolineare,
 prima  dell'entrata  in  vigore  della  nuova  normativa,  il  limite
 giornaliero di contribuzione, con il suo importo  fisso  ed  elevato,
 era  tale da scoraggiare la diffusione di contratti di lavoro a tempo
 parziale per poche ore giornaliere, effettuato  per  tutti  i  giorni
 della  settimana  (c.d. part-time orizzontale) favorendo invece forme
 diverse di distribuzione dell'orario - anche se in contrasto  con  le
 esigenze  del  datore  di  lavoro  e del lavoratore - per esempio per
 alcuni giorni della settimana,  ma  con  un  elevato  numero  di  ore
 giornaliere (c.d. part-time verticale) o altre forme miste.
   In  qualche  caso,  un  sistema  contributivo rigido di questo tipo
 incoraggiava  prassi  distorsive  se  non  anche  il  diffondersi  di
 contratti  di lavoro solo formalmente riferiti ad alcuni giorni della
 settimana,  con  picchi  elevati  di  orario,  in  contrasto  con  la
 effettiva  prestazione  lavorativa, riguardante poche ore per tutti i
 giorni della settimana.
   A seguito dell'introduzione della nuova normativa del 1984, con una
 radicale inversione di tendenza, venivano ad essere penalizzate,  con
 costi   contributivi   maggiori,   anche  le  prestazioni  lavorative
 effettuate per molte ore giornaliere, ma non per  tutte  le  giornate
 lavorative  (lavoro  verticale),  che erano assoggettate a contributi
 proporzionalmente  maggiori  rispetto  a  quelli  previsti  in  linea
 generale  per  il  contratto  di  lavoro  a  tempo  pieno, attraverso
 l'introduzione di un  divisore  penalizzante  per  questa  figura  di
 lavoro  (un  sesto  del minimale giornaliero previsto dall'art. 7 del
 d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni,  nella
 legge 11 novembre 1983, n. 638).
   Infatti,  nel  caso  in  cui  il  lavoratore  - ad esempio - avesse
 prestato attivita' lavorativa per piu' di  sei  ore  giornaliere,  in
 ipotesi  di  retribuzione  prossima ai minimi tabellari, i contributi
 avrebbero  superato  addirittura  l'importo   di   quelli   spettanti
 all'Istituto  previdenziale  nel caso di prestazione a tempo pieno (e
 quindi per un orario di lavoro maggiore) non potendosi  applicare  il
 "normale" minimale giornaliero.
   Un  aumento  proporzionale  delle  retribuzioni  orarie  minime era
 previsto comunque per tutti i tipi di  distribuzione  dell'orario  di
 lavoro, senza distinzione di sorta.
   Anche  nel  caso  in  cui  il  lavoratore  prestasse piu' attivita'
 lavorative  a  tempo  parziale,  doveva  essere  applicato  per  ogni
 rapporto  di  lavoro  il  nuovo minimale contributivo orario previsto
 dalla disposizione in esame.
   Nel caso di cumulo di piu' rapporti di  lavoro  a  tempo  parziale,
 l'effetto  distorsivo di tale nuovo meccanismo poteva in qualche caso
 apparire ancora  piu'  evidente,  in  contrasto  con  i  principi  di
 eguaglianza gia' richiamati.
   In   una   prospettiva   di   questo  genere,  anche  il  principio
 solidaristico proprio del sistema  previdenziale,  prospettato  dalla
 Corte  costituzionale  nell'ordinanza  n.  835  del  1988, non appare
 sufficiente  a  spiegare  l'evidente  irrazionalita'  del  sistema  e
 l'ingiustificata   disparita'   di   trattamento  di  due  situazioni
 lavorative del tutto analoghe.
   Donde la necessita' di riproporre alla Corte costituzionale i dubbi
 di legittimita' costituzionale dell'intera disciplina dei  contributi
 previdenziali  cosi'  come  regolata prima e dopo l'entrata in vigore
 della legge del 1984.
   Va  sottolineato,  tra  l'altro,  che  una  parziale  modifica  del
 sistema,  tendeva con l'art. l, comma 2, del decreto-legge n. 548 del
 30 novembre 1988, a trasferire sul solo datore di lavoro, e non anche
 sul lavoratore (come per il passato) il maggior costo dei  contributi
 previdenziali  conseguenti allo svolgimento dell'attivita' lavorativa
 con  un  orario  ridotto  rispetto  a  quello  normale  previsto  dal
 contratto collettivo.
   Tale  modifica,  tuttavia, e' stata stralciata dal testo definitivo
 della legge di conversione n. 389 del 1989,  piu'  volte  richiamata,
 che non ha innovato in ordine al carico dei contributi previdenziali.
   Che poi la nuova normativa del 1984 si applichi integralmente anche
 al  caso  di  specie,  ovviamente  per  la  sola  parte di contributi
 relativi  agli  anni  1984-1986  (secondo  la   richiesta   formulata
 dall'Istituto  in  sede  di  procedimento monitorio) appare del tutto
 evidente,  alla  luce  della  consolidata  giurisprudenza  di  questa
 Suprema  Corte,  secondo  la quale: "Ne1le materie in cui predominano
 l'autonomia della volonta' privata  e  l'interesse  dei  singoli,  il
 fatto  compiuto,  costitutivo del rapporto, deve essere governato una
 volta per tutte dalla legge imperante nel tempo in cui esso  avvenne;
 pertanto,  in  tema  di  rapporto  di  lavoro  a  tempo  parziale, la
 disciplina formale introdotta dall'art.  5 n. 2 del decreto-legge  30
 ottobre  1984,  n.  726,  convertito nella legge n. 863 del 1984, non
 rende illecita la stipulazione  del  medesimo  rapporto,  secondo  la
 forma   richiesta  dalla  precedente  disciplina,  restando  altresi'
 escluso che il permanere degli effetti della  costituzione  di  detto
 rapporto  sia  condizionato  all'adempimento  delle nuove formalita'"
 (Cass. 17 novembre 1994, n. 9724, 24 marzo 1992, n. 3646, 13 febbraio
 1992, n. 1781).
   Pertanto, non puo' assumere rilevanza la circostanza che  nel  caso
 di  specie  i rapporti di lavoro del personale docente e non docente,
 impiegati a tempo parziale negli anni  1981-1986,  e  retribuiti  con
 compensi  fissi  mensili  (pag.  8  della  sentenza impugnata), siano
 iniziati - prima dell'entrata in vigore della legge del 1984 -  senza
 le formalita' prescritte da tale legge.
   In  ogni  caso,  infatti, anche in mancanza di forma scritta, per i
 rapporti di lavoro a tempo parziale iniziati  prima  dell'entrata  in
 vigore della legge n. 863 del 1984 e protrattisi dopo tale data, deve
 trovare  applicazione,  secondo i principi generali sopra richiamati,
 la nuova norma dettata in materia contributiva dall'art. 5, comma  5,
 della legge.
   Sotto  un profilo piu' generale, va ricordato che, con orientamento
 da ritenersi consolidato, questa Corte ha affermato che, prima  della
 legge  n. 863 del 1984 doveva farsi esclusivo riferimento al minimale
 giornaliero stabilito per il lavoro a tempo pieno (Cass. 26  febbraio
 1993,  n.  2407,  cfr. anche Cass. 5910 del 1987, 1251 del 1986, 1773
 del 1982) ammettendo, solo nell'ipotesi di  retribuzione  corrisposta
 in relazione alle ore o giornate effettivamente lavorate, ai fini del
 calcolo  dei contributi, la media di tutti gli emolumenti corrisposti
 nelle giornate lavorate (Cass. 12 giugno 1995, n. 6606, v. anche  638
 del 22 gennaio 1997).
   Non  appare  possibile, pertanto, risolvere i dubbi di legittimita'
 costituzionale delle disposizioni di legge piu' volte richiamate, con
 una interpretazione difforme da  quella  espressa  nella  consolidata
 giurisprudenza di questa Corte.
   Con  riferimento  al  caso di specie, l'eventuale mancanza di forma
 scritta del contratto di lavoro a tempo parziale (verticale, prestato
 solo per poche ore di alcuni giorni della settimana e retribuito  con
 un  fisso  mensile)  potrebbe,  eventualmente,  rilevare solo ai fini
 dell'inapplicabilita' del minimale differenziato  previsto  dall'art.
 5,  comma  16,  della  legge  n. 863 del 1984 che regola l'ipotesi di
 lavoratori occupati nei settori indicati  nel  successivo  comma  17,
 (tra  i  quali  alla  lettera  a)  figura  l'istruzione ed educazione
 scolare  e  prescolare  non statale) in "attivita' ad orario ridotto,
 non superiore alle quattro  ore  giornaliere,  i  quali  non  abbiano
 stipulato il contratto di lavoro a norma dei commi precedenti".
   Ma  tale  questione  non  ha  formato  oggetto  di  discussione nei
 precedenti gradi di giudizio.
   Considerato che la questione di legittimita', costituzionale  delle
 norme  sopra richiamate e' rilevante, tenuto conto dell'oggetto sopra
 evidenziato del presente  giudizio,  che  non  puo'  essere  definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione di cui si tratta;
   Considerato,   altresi',   che   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  sollevata  d'ufficio   non   risulta   manifestamente
 infondata,  per  le  considerazioni  appena  esposte, con riferimento
 all'art. 3, commi primo e secondo, 4, comma primo, e 36, comma primo,
 della Costituzione e che gli atti debbano essere trasmessi alla Corte
 costituzionale, con conseguente sospensione del presente  giudizio  e
 che,   a   cura  della  Cancelleria,  questa  ordinanza  deve  essere
 notificata alle parti in causa, al  procuratore  generale  presso  la
 Corte di cassazione, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri
 e  comunicata  ai  Presidenti  della Camera dei deputati e del Senato
 della Repubblica;